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Nel 2014 nei cinema è uscito “Noah”. Il titolo mi aveva fatto pensare a un ennesimo “colossal”, magari strutturato come uno dei tanti remake in chiave moderna che ultimamente si vedono. Poi ho notato il nome del regista, Darren Aronofsky: un cineasta particolare, di grande qualità, autore di film esteticamente belli, dalla trama complessa, che inevitabilmente portano lo spettatore alla riflessione personale (suoi sono Madre!, The Wrestler e Il Cigno Nero). A quel punto non ho potuto fare a meno di vederlo e, nel tempo, è una rimasta una pellicola su cui mi piace tornare, per rimuginarci ancora un po’.
Vi propongo quindi di farvi guidare dalla stessa curiosità e, se ancora non lo avete visto, di godervi questo bellissimo film che oltre ad appagare la vista, sollecita l’anima a porsi domande che oggi più che mai lo interpellano (il film è disponibile anche su piattaforme di streaming, come Netflix). Nel frattempo, condivido qui alcune mie riflessioni, emerse dopo la visione.

La Trama
Rispetto alla trama certo non si rischia di fare spoiler: chi non conosce la storia dell’arca di Noè, più o meno romanzata, più o meno vicina al testo biblico? Si parte da Adamo ed Eva, che dopo il peccato originale vengono cacciati dal Creatore sulla Terra. Lì hanno tre figli: Caino, Abele e Set. Abele viene ucciso da Caino, mentre quest’ultimo e Set nel tempo prolificano e generano ognuno la propria stirpe. I discendenti di Caino, nel film detti semplicemente “Uomini”, vivono nel mondo dominandolo, esaurendone le riserve (sia animali, che naturali), nella convinzione di doverlo sottomettere; i discendenti di Set, invece, vivono in armonia con la natura, senza prendere più di quanto sia strettamente necessario e rispettando ogni altra fonte di vita.
Discendenti di Set sono Noah (Noè), con la moglie e i suoi figli. Dio si rivolgerà a lui perché costruisca un’arca. Questa servirà per ospitare gli animali e garantire la sopravvivenza delle specie quando verrà un diluvio che sterminerà gli Uomini, i discendenti di Caino.

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Immagine dal film

La Sopravvivenza
Gli spunti che emergono da questo film sono davvero tanti: dalla scelta delle parole (non si parla mai di “Dio”, ma sempre di “Creatore” a sottolineare l’universalità dei concetti espressi), al ruolo delle figure femminili (che sostengono e proteggono, che sono fonte di misericordia, vita e rinascita e che in qualche modo, con il loro coraggio, fanno cambiare il corso della storia), o ancora al rapporto di Noah con i figli (li educa, li guida, ma talvolta ne ostacola le scelte e quindi la crescita verso la piena maturità), giusto per citarne alcuni.

Il “fil rouge” che, però, percorre tutto il film è il rapporto fra l’essere umano e il Creato. Sia i discendenti di Set, che quelli di Caino sono convinti che il loro modo di rapportarsi con il Creato sia giusto e necessario per la propria sopravvivenza. Ma che cosa significa “Sopravvivenza”? Che cosa è davvero necessario e imprescindibile all’esistenza? La risposta “facile”, che suscita la nostra empatia, emerge in modo naturale seguendo l’evolversi della storia: Noah bene, Uomini male. Noah prende solo ciò di cui ha bisogno (sgrida il figlio che stava per cogliere un fiore solo perché bello), mentre i Figli di Caino prendono tutto ciò che vogliono, senza curarsi delle conseguenze, e del fatto che usino più risorse di quelle che la Natura riesce a produrre.
Ma noi spettatori, che parteggiamo per Noah? Noi civilissimi uomini occidentali del Ventunesimo secolo, che idea abbiamo della nostra “sopravvivenza”? Sappiamo perfettamente che cosa serva in senso stretto per sopravvivere, ma di cosa sapremmo fare a meno? Potremmo fare a meno delle auto e degli aerei? Potremmo rinunciare a una buona quantità degli abiti che possediamo? Potremmo avere uno stile di vita che sia davvero pienamente e totalmente sostenibile? Insomma… nella realtà siamo “Figli di Set” o siamo “Figli di Caino”?

L’uomo e il suo essere “a immagine di Dio”
Un altro tema che emerge più volte riguarda ciò che, in qualche modo, autorizza o meno l’essere umano a prendere decisioni che abbiano un impatto sul Creato. L’essere umano si distingue dall’animale perché è stato generato “a immagine del Creatore” e questo gli ha dato una capacità di pensiero più alta, più complessa, gli ha dato la abilità di autodeterminarsi. Per i “Figli di Caino” è proprio il fatto che l’essere umano sia stato dotato di un’intelligenza quasi divina che gli autorizza a intervenire sulla natura, a trovare comodità maggiori, a domarla. Se così non fosse, perché il creatore avrebbe deciso di dare vita a un essere senziente?

Ci si chiede però se questo “quid pluris” che distingue l’uomo dall’animale sia davvero a suo beneficio o meno: davvero questa maggiore intelligenza rende l’uomo più vicino a Dio, rispetto agli altri esseri del Creato, oppure in realtà un intelletto imperfetto, male orientato nelle decisioni, allontana l’uomo dal Creatore, che a sua volta finisce quindi per essere in maggiore sintonia con gli animali, che agiscono in armonia con la Natura?
I “Figli di Caino” ritengono che la sottomissione dell’ambiente, la spietatezza e l’ingordigia siano un naturale esercizio della loro intelligenza e della loro vicinanza intellettiva al Creatore e, ancora una volta, non possiamo non sentirci dalla parte di Noah, nel suo essere giusto esecutore del disegno divino che vuole eradicare un approccio così egoista. Al tempo stesso, però, qualche dubbio sorge, appena vediamo Noah ammettere nella nave solo gli animali e la propria famiglia, senza fare entrare nessun altro (nemmeno neonati innocenti o la ragazza amata dal figlio Cam): appena si sentono le urla agonizzanti di chi sta morendo affogato, nella disperazione più totale, non si può evitare di chiedersi se quello sia davvero un comportamento giusto, se quella sia davvero una scelta fatta “a immagine di Dio”. Allora arriva spontaneo domandarsi: in che misura l’essere a immagine di Dio dà potere di vita e di morte? Dove l’essere a immagine di Dio permette di capire ciò che giusto e ciò che non lo è? Ma ancora di più, basta eseguire tacitamente un ordine, per agire a immagine di Dio?

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Immagine dal film

Le scelte
I due paragrafi precedenti si chiudono, in entrambi i casi, con delle domande. Domande da cui mi sento provocata e che hanno risposte non facili da trovare.
D’altronde, il tema delle scelte ricorre più volte anche in Noah: Adamo ed Eva hanno fatto una scelta peccando per la prima volta, ammettere o non ammettere persone sull’Arca è una scelta, così come lo è il perdono (degli altri e di sé); Noah stesso, che ha scelto di farsi esecutore della volontà divina, dovrà decidere fino a che punto portare a termine quel progetto senza discostarsi dall’idea originale.
In definitiva Noah è un film che invita tutti noi a interrogarci non solo sul nostro posto nel Creato (protettori o sfruttatori?), ma anche sul nostro modo di porci in relazione con le altre persone e sulla capacità di fare scelte che siano coraggiose, etiche, ma anche volte alla misericordia e alla costruzione di affetti.
Insomma, invito chi legge a farsi coinvolgere e interpellare da questi e altri interrogativi, che Noah fa emergere come solo un buon film sa fare.

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