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“Il prossimo inverno vorremo piantare 1000 alberi, crediamo che piantare alberi sia una forma di resistenza” mi disse Daoud quando lo incontrai alla sua fattoria “piantare un albero è credere nel futuro. L’albero protegge il terreno e rende la terra verde e produttiva. Inoltre l’albero di ulivo ci impiega 10 anni per crescere. Per noi l’ulivo è l’albero della speranza”.

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Monolite all’ingresso della collina di Tent of Nations. Photo credits @Maria Di Pietro
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Daoud Nasser

Daoud Nasser vive con la famiglia su una collina, nei territori occupati palestinesi, tra Betlemme e Hebron, nella fattoria acquistata dal nonno nel 1916 sotto l’impero ottomano. E su quella collina Daoud ha realizzato la “Tenda delle Nazioni“, un progetto che accoglie persone di tutte le nazionalità e culture, in cui il dialogo, la condivisione e il lavoro svolto tutti insieme sono al centro della vita della fattoria.

“Costruire la fattoria senza acqua e corrente elettrica all’inizio non è stato facile, ma se ci sono le motivazioni e la volontà, si trova anche il modo per andare avanti” e Daoud ha creduto nel suo progetto e ha trovato il modo di realizzare il suo sogno. Creare un luogo di accoglienza e sostenibilità dove ancora oggi l’acqua della pioggia viene raccolta in cisterne per poter essere utilizzata e l’elettricità arriva dai pannelli solari.

La Tenda delle Nazioni ogni anno sviluppa programmi di educazione all’ambiente e al riciclo, organizza campi di volontariato per piantare alberi e campi estivi per bambini che vivono nei campi profughi intorno a Betlemme. “Attraverso l’arte, la pittura, la musica e il teatro vogliamo che i ragazzi scoprano i loro talenti perché qui ci sono sempre più bambini traumatizzati a causa dell’occupazione”.

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La strada per la fattoria manomessa

La Tenda delle Nazioni è circondata da insediamenti israeliani. Da quando sono arrivati i coloni la terra di Daoud subisce continui soprusi da parte dell’esercito militare israeliano perché la fattoria, nel luogo in cui si trova, impedisce alle colonie di espandersi. Il governo israeliano è da anni che cerca di mandar via la famiglia di Daoud con violenza e minacce. Dal 2001 la strada per accedere alla fattoria è stata bloccata. Il governo israeliano sta cercando di isolare la zona, non basta la costruzione del muro dell’apartheid, che divide Israele dalla Cisgiordania, e difficile da oltrepassare a causa del rilascio di permessi che servono per attraversare i check point ma che non è facile ottenere.

Negli anni la famiglia ha ricevuto diversi ordini di confisca e demolizione “in questa situazione le persone possono reagire in 3 modi: violenza, rassegnazione o andar via” ma nessuna delle tre possibilità piace a Daoud e spiega “la violenza genera altra violenza, sedersi e piangersi addosso non va bene e non potrei neanche rinunciare alla mia terra” così Daoud ha trovato altre soluzioni “rifiutiamo di essere vittime e di odiare, siamo persone che credono nella giustizia. Non possiamo cambiare le cose esterne se prima non lavoriamo su noi stessi. Dobbiamo rinunciare ad essere nemici”. E Daoud continua a portare avanti questa soluzione anche quando i bulldozer israeliani entrano nella sua fattoria per abbattere e distruggere gli alberi da frutta.

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Le terre recentemente bruciate

Anche la settimana scorsa è stato incendiato una parte del terreno, e meli, albicocchi, mandorli e fichi sono stati bruciati, ma Daoud non vuole rinunciare al suo pezzo di terra “la terra fa parte della nostra identità, è come nostra madre, e non possiamo vendere nostra madre, come sarebbe l’uomo se vincesse sul mondo ma perdesse se stesso”.


La Tenda delle Nazioni è una delle tante resistenze nonviolente che si incontrano in tutta Palestina. I comitati popolari palestinesi di resistenza nonviolenta, l’associazione dei giovani contro l’occupazione, i refusenik israeliani che rifiutano il servizio militare, il movimento degli ex soldati, l’associazione The parents circle di mamme palestinesi ed israeliane, il movimento Women wagepeace di donne ebree e mussulmane che marciano insieme per la pace, sono solo alcune delle forme di resilienza palestinese ed israeliana che credono e costruiscono percorsi di pace in quella parte del mondo che da 73 anni è sotto occupazione.

E nelle scorse settimane abbiamo assistito all’ennesima catastrofe umanitaria nella Striscia di Gaza dove i bombardamenti israeliani hanno causato la morte di 219 persone, di cui 63 bambini, e il ferimento di oltre 1500 civili che, nonostante gli ospedali ridotti in macerie, non possono andare a curarsi in altre zone della Palestina a causa dell’embargo. Inoltre le violazioni da parte delle forze dell’ordine israeliane e dei coloni, per aver invaso un luogo sacro di culto e per occupare e mandar via dalle proprie case i palestinesi, rimangono impunite. I soldati israeliani usano la forza per rubare le terre dei palestinesi, assediare interi villaggi ed arrestare innocenti ma non sono ancora riusciti a colpire il coraggio, le lotte e la resilienza del popolo palestinese.

“Le piante possono essere sradicate, le cisterne distrutte, ma i semi di speranza e la relazione che si coltivano no, quelli vivranno per sempre.” afferma Daoud.