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Rovine del borgo di Caprara

Si piegano le querce / come salici

Sul cuore delle rocce / a Monte Sole

Hanno memoria le querce / hanno memoria !

(da Luciano Gherardi, “Le querce di Monte Sole”)
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Fin dal primo anno di corso della Scuola di Formazione Politica e Cittadinanza Attiva di Poliedri, ormai tre anni fa, avevamo in programma l’organizzazione di un fine settimana “Sulle orme dei Padri Costituenti” insieme con gli studenti a Monte Sole: oggi parco storico nell’appennino tosco-emiliano per la custodia della memoria del terribile eccidio, ad opera dei soldati tedeschi in ritirata verso il nord dopo la liberazione (parziale) dell’Italia dagli americani, nell’autunno del 1944. Noto come eccidio di Marzabotto, in realtà ha funestato diversi paesi della zona con una strage di 770 civili (quasi esclusivamente donne, bambini e anziani), la più grande tristemente compiuta dalle S.S. in Europa occidentale.

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Il gruppo in cammino

Per una ragione o per l’altra e complici le ristrettezze dovute al periodo di pandemia, siamo riusciti a realizzarlo finalmente soltanto lo scorso weekend, nei giorni 18 e 19 settembre u.s., con una dozzina di giovani (studenti dell’ultimo anno di corso e dei primi due, iscrittisi poi all’Associazione e impegnati come tutors degli studenti degli anni successivi).

All’inizio del sentiero del Parco, ci attendeva lo storico Prof. Alberto Guasco, docente e ormai amico della nostra Scuola. Attento studioso anche di questo periodo della nostra storia nazionale, egli ci ha introdotti, con lucida competenza di storico e appassionata partecipazione anche emotiva di cittadino consapevole e impegnato, al contesto politico istituzionale e sociale di fine della seconda guerra mondiale che, proclamata come ormai conclusa, doveva ancora avere in quei luoghi il suo più disumano e tragico epilogo. In particolare, egli ci ha spiegato l’importanza strategica, per l’esercito tedesco in rotta, del controllo della zona di fronte all’avanzata delle truppe americane, ormai in vista a pochi chilometri nella pianura sottostante con carri armati e artiglieria pesante. E di come per esso fosse essenziale concentrare ogni energia e risorsa militare nel combattere contro i nemici americani, senza nulla disperdere a protezione dalle imboscate e aggressioni dei Partigiani. E che per fare ciò era necessario troncare ogni possibilità di sostegno, riparo e collegamento con la popolazione civile, che di nascosto li aiutava.

Il che significava eliminazione organizzata, sistematica, totale: non pertanto operazione improvvisata, né tanto meno sfuggita dal controllo per imprudenza; al contrario, strategia scientemente programmata e deliberata dalla massima autorità militare tedesca di sterminio di tutti i civili dei luoghi, così come ad est (in entità assolutamente incomparabile) nei confronti degli ebrei e delle altre vittime dei campi di concentramento. Questo insegnamento a noi e ai ragazzi è venuto non già da una cattedra, ma da quegli stessi luoghi di Caprara e del cimitero di Casaglia, raggiunti attraverso sentieri nei boschi su cui ci siamo incamminati insieme, in una vegetazione lussureggiante, nel paesaggio illuminato da un sole caldo, immerso in una pace e in un silenzio orfani della vita di paesi, mai più ricostruiti, ma eloquenti nelle rovine di pietra di case, di chiese, di resti di una vita interrotta da allora.

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Il Prof. Alberto Guasco in un momento di silenzio presso i resti della chiesa di Casaglia
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Foro di proiettile nel cimitero di Casaglia

Proprio qui Alberto Guasco, con voce talvolta soffocata dall’emozione di una rievocazione penosa, ci ha raccontato alcune storie di quei drammatici, ultimi giorni di una popolazione inconsapevole e smarrita, rifugiatasi nella chiesa intorno al proprio parroco e da lì forzosamente trasferita, con sorda e indifferente violenza in esecuzione di ordini criminali, nell’adiacente cimitero di Casaglia dove sono state trucidate tra le 90 e le 100 persone addossate a un muro, nel quale abbiamo scorto i fori dei proiettili dei mitragliatori. Il silenzio di quei luoghi ha risuonato in ciascuno di noi, non meno delle parole ascoltate, quale monito da custodire insieme con la memoria del tragico rinnegamento dell’umanità perpetrato. E paradossalmente, questa preparazione ha consentito di aprirci alla comprensione di un risveglio generativo sorto proprio da quei luoghi

“Ho visto troppe cose. Non posso credere”

Ferruccio, uno dei sopravvissuti

Il giorno dopo, nelle immediate vicinanze, abbiamo raggiunto Cerpiano, dove la memoria dei tragici eventi è custodita dai fratelli e dalle sorelle dell’ordine monastico fondato da Giuseppe Dossetti (illustre giurista, politico e componente della Commissione dei 75 membri scelti all’interno dell’Assemblea Costituente per scrivere la Costituzione Italiana, poi divenuto monaco e sacerdote), che ivi ha fissato la Casa generale e dalla quale si sono irradiate le altre fraternità in Calabria, Palestina e Giordania.
Dopo una mattinata trascorsa a dialogare tra noi sulla Costituzione, a partire dalla risonanza dell’esperienza dei luoghi visitati insieme, abbiamo qui accolto la testimonianza di fratel Luca Daolio, uno dei monaci, che ci ha lumeggiato la figura di Giuseppe Dossetti. Per mantenere la propria integrità umana, egli avvertì l’esigenza di proseguire altrove, rispetto al mondo della politica, l’impegno immutato di coniugare l’ineludibile rapporto della fede con la storia (unico luogo di declinazione del destino dell’uomo).

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Un momento dell’incontro a Cerpiano con Luca Daolio

Questa, nella sequela del fondatore e maestro, è anche la vocazione di Luca e dei monaci e monache dossettiani/e: continuare a studiare la storia con rigore, con la filosofia e le altre scienze umanistiche, nell’umile semplicità di una ricerca illuminata dalla fede e scandita dai ritmi della preghiera di intercessione, per cercare risposta all’urgenza di una domanda, originata dalla consapevolezza di una cor-responsabilità (che dice di un noi, che sempre asseconda o si oppone) per quei fatti della comunità civile e cristiana: “E io, come posso continuare a credere?”. E in questa prospettiva, offrire ai tanti pellegrini laici, giovani e non, accoglienza e testimonianza di una memoria che, attraverso la conoscenza e l’esperienza trasmesse, sia coltivata come impegno civile, capace di riconoscere e denunciare le sempre nuove forme di disumanità, per istituire legami di appartenenza e di partecipazione attiva: per rendere la società più inclusiva, rispettosa della dignità e dei diritti fondamentali di ogni persona, ancora oggi vergognosamente calpestati nel prepotente asservimento dell’altro e in forme di diseguaglianza intollerabile.

E a noi, che cosa insegna Monte Sole ?

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Le rovine di Caprara

Non è possibile verbalizzare l’intensità delle risonanze e la profondità delle emozioni condivise in questi due giorni di “Pellegrinaggio della Memoria” a Monte Sole, restituite dall’espressione dei volti, dall’intensità degli sguardi, dal luccichio di commozione degli occhi, che abbiamo reciprocamente colto e che soltanto la partecipazione personale può far sperimentare.
Qualcosa, tuttavia, si può dire. Ed è la maturazione di una relazione nuova con la Costituzione, da considerare non più soltanto come legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico, frutto di un sapiente Compromesso (in senso alto: quale esito di un dialogo tra diverse culture e tradizioni di pensiero, che hanno saputo convergere in una sintesi di valori e di principi di interesse comune), ma come matura epifania di un processo storico di tragica drammaticità, fecondo, per virtuosa contrapposizione, di un’autentica rigenerazione.
La Costituzione è così germinata come frutto di un risveglio e di un desiderio di pacificazione di un popolo, (ri)animato dall’urgenza di costruzione materiale e spirituale di una società nuova, democraticamente ordinata, che restituisse identità nazionale e dignità ad un Paese avvilito e distrutto da due guerre e dalla tirannia di una dittatura.
Insieme con i ragazzi, abbiamo allora sperimentato la possibilità di provare affetto per questa nostra Costituzione, ancora tanto da inverare. E ancora una volta, che la vera conoscenza si alimenta di studio e di personale esperienza diretta, che sola può toccare il cuore e mobilitare energie per ideare progetti e realizzarli.
Questa modalità, da loro sollecitata, sempre maggiormente orienterà il modello educativo della Scuola di Poliedri, rendendo ancora più concreti e interattivi i laboratori sperimentati in questi anni, per promuovere il protagonismo degli studenti nel contatto con la realtà della nostra città e del mondo, implementando le occasioni di esperienze formative esterne insieme. E per questo, anche nei prossimi anni proporremo momenti come quello appena vissuto, ancora a Monte Sole e in altri luoghi evocativi, preziosi e stimolanti per la crescita del nostro impegno di cittadini consapevoli e attivi: ben sappiamo che, quando si è davvero conosciuto e visto, non ci sono più scuse, né si può fingere di non conoscere e non vedere … portandone la conseguente responsabilità.